martedì 12 giugno 2012

Ma le fibre naturali possono davvero considerarsi eco?

La sostenibilità sta assumendo sempre più importanza anche nell'ambito della moda.

In assoluto, per valutare il reale grado di sostenibilità di un prodotto, si dovrebbe considerare il suo intero ciclo di vita.
Nel caso dei capi di abbigliamento, oltre al consumo del terreno coltivo, di acqua, di energia dovremmo tener conto anche dell'impatto ambientale degli animali da tosa e dei bachi da seta (per non parlare degli allevamenti, intensivi e non, nel caso della pelle).
Non vanno quindi sottovalutate le condizioni di produzione delle materie prime che, di fatto, influenzano moltissimo il grado di sostenibilità del prodotto finale e alle quali dovremmo pensare ogni volta che stiamo per acquistare un vestito o un accessorio.

Ad esempio pensiamo al cotone, la più diffusa tra le fibre naturali. La sua coltivazione richiede l'utilizzo di vastissime aree di terreno oltre che un elevatissimo impiego d'acqua.
Secondo recenti stime, la produzione di 1 kg di abbigliamento di cotone richiede l'utilizzo di 9,4 metri cubi di acqua con punte intorno ai 20 metri cubi se la coltivazione avviene in paesi come l'India. Inoltre, per coltivarlo, viene fatto largo uso di pesticidi e fertilizzanti con gravi conseguenze sia sull'ambiente sia sulla salute delle persone che lavorano nei campi.
Se decidiamo di vestirci in cotone, dovremmo almeno fare lo sforzo di scegliere capi certificati bio: ad esempio la certificazione internazionale GOTS (Global Organic Textile Standard)  definisce uno standard per la lavorazione delle fibre biologiche, includendo criteri ambientali e sociali lungo tutta la filiera produttiva.

Nel caso di produzione della lana, i principali fattori di impatto ambientale sono le conseguenze degli allevamenti sui terreni e gli scarti generati dalle prime fasi di lavorazione. Ad esempio, i reflui delle operazioni di lavaggio della lana contengono sostanze inquinanti, a cui si vanno ad aggiungere le sostanze chimiche utilizzate nelle varie fasi di lavorazione che vanno dai lavaggi (detergenti, tensioattivi, ammorbidenti, candeggianti etc) alla filatura, dalla tessitura ai trattamenti tintoriali e di fissaggio. Inoltre i mercati di produzione della lana sono sostanzialmente tre (Australia, Nuova Zelanda e Cina): pensate a quante CO2 vengono emesse per farla arrivare ai mercati di impiego!

Interessanti, invece, fibre di origine vegetale quali la canapa, l'ortica, il bambù che sono di facile coltivazione e adatte a qualificare terreni non sfruttabili per altre coltivazioni e che stanno iniziando ad essere utilizzate con successo nell'ambito dell'abbigliamento.  La coltivazione di queste  piante necessita di un uso minimo di diserbanti e fitofarmaci e la possibilità di produrle a livello locale riduce l’impatto ambientale derivante dal trasporto.

Alla luce di questi dati e considerazioni, di che fibra sarà il tuo prossimo vestito?

Fonte: Il Bello e il Buono. Le ragioni della moda sostenibile www.ilbelloeilbuono.info
Per approfondimenti:
http://www.global-standard.org/
http://www.hemp.com/







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